ATOMO

Andrea Della Valle [email protected]

Eccola lì! In un angolo opaco della mia stanza, la valigia di un viaggio che per il momento è ancora solo nei miei pensieri.
Si parte, o forse no, vigilia di un capodanno che si tinge di speranze, sento che tutto andrà per il meglio, ma intanto i minuti passano e la partenza si fa sempre più incerta. Squilla il telefono, OK per una volta i miei sensi hanno avuto la meglio, si parte. Per dove? Con chi? Questo ancora non lo so, ma non mi preoccupa, volevo solo fuggire ed ora è reale.
Il mio tragitto inizia da solo, devo raggiungere gli altri e poi con loro proseguire; si con loro il resto della “ciurma”, ma dentro di me so che questo viaggio è mio, l’ho voluto tanto e in qualche modo lo difenderò dalle intemperie che sento arriveranno.
Cosi vedo la cosa, viaggiare è guardarmi dentro, scoprire attraverso nuovi luoghi, vecchi me.
Solo io e i miei pensieri, e tra di noi impareremo qualcosa in più l’uno dell’altro.

Siamo al freddo io e Mary, aspettiamo, rendendo allegra una sottile paura di ciò che non conosciamo bene. Arrivano gli altri! L’aria è fredda, secca e un po’ tesa, ma arriva la notte e con lei resto solo, ad assaporare vecchi ricordi, di luoghi che mi scorrono sopra, con il passato che indossano.
In poco tempo eccola già lì, la Svizzera, con i suoi giganti di roccia, (fa sempre un certo effetto trovarcisi immersi). Dormo un po’, sono esausto, è forse l’ora di assaporare con altri sensi, la libertà che mi trasmettono queste viste.
Il viaggio prosegue senza di me, mi assento rivolto a guardare quello che lascio, è strano abbandonare le cose, ma a volte c’è bisogno di liberarsi di quello che possediamo, per scoprire la bellezza di essere nudi.
Scorre via veloce la strada e non appena riapro gli occhi torno alla giuda, voglio viverlo tutto l’arrivo nella città dai mille nomi, si perché ad ogni km di strada la bella Luik o Lutich, si trasforma in una più francese Liège. Siamo all’uscita di un piccolo cavalcavia, eccola davanti a me, si apre nella coltre di nebbia la città dei miei desideri. È strana l’aria intorno a noi, la città è silenziosa, ovattata dalle gocce di pioggia che le bagnano il viso. La schiera di case che costeggiano il fiume, sembra darci il benvenuto, ogni casa con le sue espressioni diverse ma armoniose, in quella che definirei un’architettura dal dolce contrasto, colori e sapori si mischiano nella mia mente, odori di una nuova terra che sa già un pò di casa. Si parte alla scoperta di questa città, inizia tutto dalle insegne luminose di un sexy shop, e poi tante strade, mille incroci, ancora tanti pensieri irrisolti nella mente, ma ci lasciamo trasportare dall’atmosfera dolce di queste persone, che sembrano dire solo “bonne annèe”, è cosi che la gente ci accoglie, con un sorriso che sembra lo specchio del nostro, nel trovarci cosi tanto bene tra la novità di un'altra cultura. È veramente un luogo da scoprire questa Liège, con le sue mille luci di “Place St. Lambert” il teatro, e poi allontanandosi, tanti vicoli bui, ad indicare un senso di riservatezza, qui si entra nelle case della gente e lo si fa pian piano in punta di piedi.
Gli infissi, si gli infissi, come dice la mia amica Lulu, ci parlano della persone, e qui ci dicono che sono aperte, aperte agli altri, calde e accoglienti.
Finisce qui il racconto della misteriosa Liège, una piccola cittadina che sento di dover rincontrare prima o poi. Si riparte, questa volta il tragitto è breve, appena pochi km ed entriamo a Maastricht, l’atmosfera qui si fa tesa e nervosa, colpa del freddo e della pioggia, della stanchezza, ma anche del silenzio, delle attese, delle risposte che non arrivano.
Mi difendo io, tengo duro e cerco di aiutare gli altri a fare lo stesso, a scoprire che i fantasmi, non si riflettono negli specchi, e se lucidi quelli del tuo animo, nessuno può insidiare in te spettri che non ti appartengono.
Saliamo su un battello, c’è aria di tempesta, ma siamo forti, anche tra le gelide onde del nord e gli andiamo incontro, curiosi di sapere i segreti che nasconde il loro mare.
Sembra uno Tsunami quello che ci colpisce sulle fiancate, è forse più piccolo di quello vero, ma non per le nostre fragili ossa, per loro basta e avanza. Sotto i colpi di uno sconsiderato, avido, egoista Nettuno, cambia in fretta la nostra immagine degli dei, che ora appaiono come malefici diavoli, ingiusti con le loro facili ira, per degli onesti viaggiatori, che non chiedevano altro che un soffio di vita.
È in pezzi ormai la barca, solo frammenti di tavole rotte, piccole schegge di un capodanno.
Il cupo cielo olandese illuminato da lampi di festa, ci appare come distorto dai nostri pensieri, e suoni e colori si trasformano in paure, sembra l’atmosfera di una guerra e mi sento schiavo, impotente e in collera con i padroni dell’odio che ci rubano la vita, e tra fastidiose bombe fragorose nell’aria, cerchiamo una via di fuga da tutto questo.
Raccogliamo quanto resta dalla tempesta e ci allontaniamo, troviamo un riparo, entriamo per scaldarci l’anima, del buon “Southern Comfort” per l’occasione, ricordi di momenti migliori, è questo forse quello che ci serve, la consapevolezza che sappiamo cambiare il corso degli eventi.
Va un po’ meglio ora, usciamo allo scoperto per vedere cosa è rimasto e cosa è andato perso, da bravi soldati facciamo un giro di perlustrazione, per vedere se è rimasto qualcosa da salvare di una città bombardata. Per le strade piccoli folletti di bronzo, è a loro che chiediamo aiuto, c’è bisogno di un po’ di magia, di una fata incantata che ci insegni la strada.
Voltiamo un angolo e un lampo ci abbaglia, veniamo risucchiati in una graziosa abitazione, profumi di amicizia, di amore e di semplicità, dolcetti del nord, e un libro incantato che in se contiene il seme della fratellanza, dell’unione di colori diversi che nelle loro sfumature, danno vita all’arcobaleno.
La tempesta è finita, i folletti ci hanno ascoltato, e noi li ringrazieremo sempre per averci detto che senza il nero non vedresti il bianco, e devi essere grato ad entrambi perché l’uno senza l’altro non avrebbe senso. Ora abbiamo una nuova imbarcazione, certo non ha ancora superato le prove dell’oceano, ma conosciamo meglio questi mari e sappiamo come muoverci.
Si riparte, è ora di scoprire quanto più possibile di una terra che ci ospiterà ancora per poco; saliamo su un treno carico di speranze, il paesaggio fuori mi dona un senso di quiete, verdi paesaggi scorrono accanto a me, e la loro bellezza è il presagio di ciò che mi aspetta.
Sono molto eccitato, finalmente sto per raggiungere Bruxelles vera meta del mio viaggio. Un salto fuori dalla porticina della stazione e davanti a me si apre un nuovo mondo, è proprio come la immaginavo la capitale d’Europa, ad ogni sguardo si incrociano mille vie, con scorci bellissimi, niente è banale, qui ogni palazzo è sapientemente posizionato a creare un incastro perfetto e fantasioso, una città d’arte, l’arte di disporre le cose in armonia, è questo il senso che ispira, equilibrio e pace; sono euforico. Non conosco niente di questi posti e cosi mi lascio guidare dal senso, dalla vista, da ciò che più mi attira e cosi, come calamitato dalla bellezza delle cose, gli vado incontro.
Ci arrivo dalla parte che non mi aspetto, ma la riconosco subito, Saint Michel, è bellissima, imponente e leggera, vista da dentro sembra non avere fine, una pianta a croce e tre navate, ma un senso di spazio che si apre verso l’infinito.
Faccio fatica a venirne fuori, ma il tempo stringe e c’è molto da scoprire, in realtà non so ancora cosa sia questo molto, ma mi aspetta e non posso farlo attendere.
Eccomi ad un incrocio di vie, mi appaiono come alternative per nulla uguali, dalla mia scelta dipenderà il mio percorso, unico e irripetibile. Punto a nord, fino adesso mi ha portato fortuna, salgo una lunga scalinata, dall’alto vedo meglio tutta la città, e la scelta ora diventa più facile.
Un palazzo intrigante mi invita ad entrare, la fortuna ha bussato alla mia porta, Magritte, Dalì, li cercavo e proprio allo scadere del tempo, sono caduti tra le mie braccia.
La mostra è una fantastica scoperta, non conosco bene le opere, l’arte moderna non mi affascina molto, ma guardando attentamente, scopro che contiene dei messaggi nascosti, un tentativo di entrare dentro l’osservatore attraverso la violenza, senza filtri, convenevoli o buone maniere, un arte che è come la gente del suo tempo, più sfacciata, diretta e soprattutto megalitica; megalomane.
Ore cinque si chiude tutto, siamo costretti (e forse è meglio cosi) a tornare tra le strade, uno sguardo veloce e dopo i canti celtici, di una chiesa gotica, prendo uno scivolo che mi porta dentro un libro di fiabe, non può essere che questo, “Gran Place” , non è opera umana, i cuori della gente non hanno mai tanto spazio per tutta questa fantasia, questo gioco, forse i bambini, loro si, le risate che ci chiamano, forse è opera loro. L’atmosfera che si respira è incantata, ogni angolo di visuale è uno scintillio di luci, forme e colori si mischiano in continuazione dando vita ogni volta a nuove conformazioni, è viva Gran Place, si trasforma, si modella, sembra poter cambiare in ogni istante come non ti aspetti, sembra perfino poter cambiare la gente, e lo fa, si torna tutti bambini qui, non c’è spazio per domande, pensieri, problemi.
La torre del castello, si perde nel cielo, faccio fatica a vederne la fine, mi metto sotto di lei per sentirne la voce, “che strana sensazione”, sembra schiacciarti a terra, e per una sorta di contrappasso, allo stesso tempo liberarti verso le stelle.
Gioco un po’ con gli abitanti, di questo mondo magico, ci parlo, mi faccio raccontare le storie, i segreti, ascolto inebriato le loro voci, che mi portano via verso mondi lontani ed eterei.
Vengo ad un tratto scaraventato nella realtà, sono veramente infastidito, cerco di liberarmi in volo, ma non sono capace di oppormi con forza, ai cattivi pensieri della gente, non riesco a far finta di niente, in qualche modo chiudere gli occhi e non vedere.
Dico un ciao ai miei amici folletti, e torno tra gli amici reali.
Grida di desideri bussano alla mia porta, le ignoro, loro insistono, cercano in me un po’ di rassicurazione, vogliono sentirsi buone, vogliono che io le aiuti, ma sono per me una medicina dal sapore amaro, un sottile dolce veleno, che allevia superficialmente la pena, ma nutre il virus che si agita in profondità. Resto muto, il mio volto marmoreo urla il mio faticoso dissenso, non c’è voce o silenzio, che riesca a fermare la travolgente rinuncia al capire; quando più semplice e spianata appare la strada che porta alla consolazione.
Resto cosi, impassibile, cercando di rimanere attaccato, al mio senso di verità, non scendendo a compromessi, e cercando, di salvare me stesso, da quei diavoli che attentano alla mia felicità.
Si è rotta la magia, l’impossibilità di volare libero ora che potrei, mi lascia pensieroso, cerco una via di fuga dal contrasto di emozioni che mi aggirano, trovo una scorciatoia, la prendo e torno ad un mondo che, nella sua mediocre esistenza, si rivela un ottimo riparo, in cui nascondermi al buio, lasciando la scena agli altri attori.
Sul palcoscenico, un bicchiere sfugge dalle mani stanche del commediante, mille piccoli frammenti di vetro, si scagliano sul primo spettatore della scena e si conficcano in profondità, non lasciando vita, nel corpo della vittima impotente. Fortunatamente, sono solo scene di una folle recita e basta poco a mandarne via il ricordo. Ancora poche ore, corriamo via veloci per le strade, cercando di cogliere quanti più attimi possibili di queste viste, sembra di allungare lo scorrere del tempo, e per un pò è anche una sensazione reale.
Un ultimo saluto a Saint Michel è doveroso, sono curioso di vederla in vestito da sera.
È incantevole, riservata, scopre il lato che di giorno non si vede, nel buio nasconde la sua imponenza e la ritrovi misteriosa, intoccabile, inavvicinabile.
Si sale in macchina è ora di andare via, di lasciare nei ricordi, un viaggio bellissimo, ma c’è un’ultima tappa che non vorrei perdere, qualcosa che nella mia mente, sembra come il completamento di un lungo percorso, la voglio troppo e forse con l’irrefrenabile desiderio che scorre nei miei occhi convinco, chi mi sta intorno a cercare assetato, un posto che qui a Bruxelles sembra nascosto agli occhi dei passanti.
Parliamo di un colosso di metallo alto 107 metri, ti aspetti di vederlo davanti a te ovunque volgi lo sguardo, ma niente, nemmeno l’ombra. La ricerca diventa infinita, ma pian piano sentiamo che il cerchio si stringe, e la sensazione è che ora sta diventando una sfida, so che lo troveremo, so che non possiamo più andare via senza, siamo in uno di quei momenti che segnano un viaggio, a volte, permettetemi l’esagerazione, una vita. Si, perché la vita, si decide anche in tutti quei momenti in cui non si abbandona la ricerca di quello che non si conosce e si continua a cercare, cercare, cercare.
Eccolo, il frutto di due ore d’instancabile naufragare, mi sovrasta con la sua essenziale verità, mi risuona dentro il suo muto urlare, l’Atomo, materia, struttura mutabile di ogni cosa, mentre nelle mie vene scorre una droga naturale, la vita.
Riprendiamo la via di casa, è ora di tornare, di portare indietro le nostre scoperte, non mi dispiace ripartire, è stato tutto bellissimo, e non mi fa paura l’idea che domani potrebbe non esserlo. Sulla via del ritorno molto silenzio, credo sia normale, molti pensieri si affacciano, ciò che abbiamo lasciato prima di partire torna ad affollarci la mente, guardo il cielo stellato cercando di disperdermi in quel blu profondo, la luna, su un trono di roccia, mi svela il senso profondo della vita.
Eccola li! La valigia, in un angolo buio della mia stanza, diversa da quella che era partita, ha scoperto un po’ più di me, un po’ più degli altri, e soprattutto ha assaporato un alito di vita, consapevole che non le basta, consapevole che guardando in fondo, voglio un Atomo dentro me ogni istante irripetibile della mia vita.