Sport e Arte: Nadia Comaneci

In una Montreal tutta indaffarata ad occuparsi delle Olimpiadi di quell’estate 1976, tutto ci si poteva aspettare, meno che uno “scricciolo” di 40 kg alto appena 1 metro e 53 sbalordisse tutto il pubblico con i suoi eccellenti risultati, riuscendo addirittura ad oscurare le imprese di altri grandi atleti del tempo.
Questa piccola e aggraziata creatura di appena 14 anni aveva già alle spalle un notevole curriculum: 8 anni di vittorie e grandi prestazioni, ma nulla come quello che avvenne in quel 19 luglio canadese.
Persino il tabellone luminoso restò sorpreso dal punteggio ottenuto da questa minuta creatura che aveva appena concluso il suo esercizio alle parallele asimmetriche.
Restò impotente, incapace di segnalare quel 10.00 che i giudici avevano reputato adatto all’unanimità a quella spettacolare e quanto mai perfetta esecuzione. Così un attimo di stupore avvolse l’intero edificio, quando sul tabellone luminoso comparve quell’1.00 a indicare il punteggio spettante a questa piccola ragazzina rumena. Ma tutto fu chiarito, presto si comprese che era avvenuto qualcosa di storicamente rilevante, qualcosa di nuovo, mai accaduto in precedenza.
Questa è la storia di Nadia Comaneci e del primo 10.00 della ginnastica, (… non unico… presto ne otterrà addirittura 7).

La Comaneci nasce il 12 novembre 1961, a Gheorghiu-Dej, una piccola cittadina ai piedi dei Carpazi.
Il suo celebre allenatore la nota all’età di 6 anni, per quella profonda grazia e quella sua spiccata sensibilità artistica. L’esordio in nazionale arriva a soli 11 anni e i suoi primi successi arrivano a Skien (Norvegia). Ma proprio a Montreal questa semplice ragazzina riesce a stupire il mondo intero con la sua perfezione.
Le sue esecuzioni alla trave e alle parallele asimmetriche da subito appaiono qualcosa di sorprendente, perfette nella loro tecnica e nella loro originalità artistica. Ma tutta questa grande popolarità le porta ben presto anche una gran quantità di limitazioni e problemi. Prima di giungere alle olimpiadi di Mosca 1980, ottiene successi a mondiali ed europei, ma tenta anche il suicidio per ben due volte… I suoi rapporti con l’allenatore sono sempre molto tesi: lui la chiude in una stanza a chiave, perché lei non possa mangiare ed ingrassare, non si preoccupa del suo aspetto morale, lei duramente regge, ma sente tutto l’atroce peso di questa vita.
A Los Angeles 1984 si presenta come accompagnatrice della squadra rumena, ma l’immagine serena che il governo del dittatore Nicolae Ceausescu cerca di dare a tutto il mondo, non corrisponde affatto alla realtà. La Comaneci viene avvicinata alla famiglia del dittatore nonostante il suo volere, il governo dona alla sua famiglia una dacia sul Mar Nero e una fiat 127 e addirittura “viene” fidanzata al figlio di Ceausescu, Nicu, che la tradisce spudoratamente.
Ma ben presto riesce a fuggire da questa vita di “prigionia”, lasciato Nicu, si sposa col calciatore della nazionale rumena, Giolgau, infelice anche con lui, nel 1989, poche settimane prima della caduta del muro, Nadia scappa in quella Montreal che l’aveva accolta in quel fatidico e memorabile 1976, con Constantin Panait, che prima di lasciarla le ruba 250 mila dollari. Ma finalmente è libera.
In America la Comaneci trova finalmente la pace, in un programma televisivo incontra il suo futuro marito, Bart Conner, un ex campione olimpico che aveva già conosciuto e con cui aveva avuto una tenera storia adolescenziale nel 1976.

Questo è il romanzo di un personaggio storico/sportivo tra i più rilevanti nella storia dello sport, una bambina cresciuta troppo in fretta a causa del successo e di tutti quei riflettori puntati addosso, per sfruttarne l’immagine e tutto quel suo meraviglioso talento.

Rivedere uno dei suoi esercizi oggi, lascia ancora una certa emozione, quel senso di armonia e di appagamento che non è sempre facile rilevare in tante prestazioni sportive, quel senso artistico che così perfettamente si adatta alla disciplina sportiva. Quella sorta di classicità che nel cinema si può ritrovare nella bellezza di un film di Chaplin, perfetto nella sua sorprendente semplicità, una modernità che resta universale, nello splendore di una esecuzione artistica ancora esemplare.