Furore
Gaio Domizio Marone, centurione delle legioni di Roma,
sa che sta per morire, sa che DEVE morire, ma se ne cura poco o nulla.
La sola cosa che gli importi è quella di morire come sempre ha
vissuto: con coraggio, con onore, in piedi di fronte al nemico…
Nella selva di Teutoburgo i barbari germanici capitanati dal traditore Arminio hanno letteralmente fatto a pezzi le due legioni comandate da Quintilio Varo… Sotto la tempesta ininterrotta che ha flagellato per giorni le profonde selve di quella terra cupa e fredda, i soldati di Roma hanno resistito disperatamente all’assalto di quelle feroci orde di selvaggi dall’aspetto formidabile e dal furor impetuoso e spaventevole… Disorganizzate, isolate, tradite ed abbandonate a se stesse le legioni hanno resistito come meglio han potuto, ma l’incessante e violentissima pioggia che ha trasformato la via della ritirata in un impenetrabile pantano ne ha fiaccato persino l’indomabile coraggio e la leggendaria disciplina ancor più dell’inaspettato tradimento del barbaro, a cui Quintilio Varo si era sventatamente affidato come guida, per partire alla conquista di quelle terre al di là del fiume Reno… Gaio Domizio ha visto morire tutti i suoi soldati… Ha visto le orgogliose aquile di Roma cadere nel fango, ha visto il sangue di coloro che erano uomini forti e vigorosi perdersi tra l’erba e i muschi fradici d’acqua di quelle maledette foreste… Il sangue di Roma va a nutrire le querce silenziose… Solo… In piedi, davanti a quei colossi biondi, che davanti ai suoi occhi hanno massacrato fino all’ultimo coloro che eran suoi commilitoni, ufficiali, amici e sottoposti, coloro coi quali aveva condiviso la gloria, la fatica e la durissima vita del legionario, il centurione Gaio Domizio Marone stringe l’impugnatura dello scudo con rabbia e furia… è sporco di sangue e fango dalla testa ai piedi, ma anche la presa sull’elsa del corto gladio è ferrea. Leva lo sguardo verso i nemici ed inizia, come invasato, a battere ritmicamente la spada sul legno dello scudo… come fanno i legionari quando inquadrati nella testudo avanzano all’attacco… Un canto, sconosciuto ai germani ma che lo stesso Marone non conosce, gli sgorga dalla gola con un parossismo di spaventosa rabbia… Non conosce le parole che canta… Non capisce la lingua in cui quei versi sono stati composti… Capisce soltanto di essere morto e che la sua morte deve vendicarsela da solo, portando con sé nell’averno quanti più barbari possibile… Intona con voce tonante il legionario, mentre con lo scudo respinge
il colpo d’ascia del primo germanico, che gli si para davanti
e gli trafigge il ventre con il gladio… Altri gli si lanciano
addosso, ma la furia inumana da cui ormai è posseduto lo sorregge
e gli dà forza… Digrignando i denti uccide senza pietà,
senza calcolo, senza curarsi di trovare una via di scampo… Uccidere,
uccidere, uccidere ancora quanti più maledetti barbari possibile
prima di rendere l’anima agli dei… Sta ancora cantando “Heart
of Steel” dei Manowar quando cade a terra, avvinghiato in un mortale
abbraccio al guerriero che lo ha infine ucciso con un colpo di lancia,
ma che ha comunque avuto la forza di accoppare spaccandogli la testa
con il moncone della spada… |