L’ALFABETO DEGLI AMICI DI NICO NALDINI

Fin dal felice titolo attribuito a questa raccolta di ritratti di protagonisti del Novecento - Alfabeto degli amici, Edizioni L’Ancora del Mediterraneo – , amici e non dell’autore - lo scrittore friulano Nico Naldini - si rivelano lo spirito e i criteri compositivi del libro, ispirati ad una volontà di essenzialità vitale ed eloquente. E nel soffermarsi sul titolo si è perfino tentati di azzardare un’equazione tra i due concetti che esso propone: l’amicizia è un sentimento primario, che nella sua elementarità, alimenta le sfaccettature più complesse dell’esperienza umana, così come un alfabeto è una struttura archetipa, uno schema essenziale, costitutivo però di ogni architettura linguistica, anche di quelle più complesse.
In questo libro non sono inclusi soltanto i profili di personaggi conosciuti direttamente dall’autore, ma anche quelli di artisti mai frequentati da Nico Naldini, il cui abbozzo biografico si avvale talvolta del contributo di conoscenza di amici comuni. Amici di amici dunque in un percorso di legami indiretti, di concatenazioni che possono estendersi a macchia d’olio perché, a dispetto dell’individualismo schivo e spesso scorbutico dei singoli artisti e delle loro gelosie latenti, l’universo letterario è in fondo un mondo dai confini aperti, in cui si costruiscono rapporti più o meno conflittuali di conoscenza, ma anche fondamentali sodalizi. Domina comunque, in questa scelta di ritratti, un senso largo del concetto di amicizia. Artisti anche di un'altra epoca, lontani nel tempo, sono inclusi in questa categoria che per Naldini non sottintende esclusivamente un rapporto di frequentazione, ma anche una semplice sintonia emotiva e spirituale. L’autore ha l’ambizione di considerare amico anche la persona nei cui confronti si percepisce una consonanza ideale ed estetica, perché nulla salda l’animo delle persone come il linguaggio dell’arte o quello di una sensibilità affine. Per vivere il senso dell’amicizia, quindi, non è indispensabile attendere ai canoni di una relazione diretta, ma è sufficiente intercettare le linee sospese delle affinità emotive e culturali che, nella fattispecie, legano indissolubilmente Nico Naldini alla personalità di grandi artisti non solo contemporanei. Sebbene si parli di alcuni grandi protagonisti del mondo della cultura del secolo trascorso, i criteri di approccio al loro universo rifuggono in linea di massima da un confronto diretto, da un rapporto frontale con la loro opera e la loro biografia ufficiale; come se la produzione artistica di uno scrittore costituisse un elemento privilegiato e di selezione, un’angolatura capace di rimandarci solo gli aspetti più eletti e idealizzati – sia utopistici che drammatici - e non fosse in grado, quindi, di offrirci un’idea del tutto esaustiva e fedele rispetto a una presentazione capace di tener conto, anche e magari in prima battuta, degli elementi quotidiani più dimessi o apparentemente banali. Infatti, sebbene comprensiva di artisti in gran parte scomparsi, questa galleria ci restituisce personaggi pienamente vivi e vitali e ciò senza far leva sul concetto dell’arte come fattore immortale, sull’assunto dell’opera intramontabile, ma attraverso un approccio psicologico dal taglio fascinosamente aneddotico, aperto. Vi è una perlustrazione del coté quotidiano o désengagé, che non rinnega il particolare spicciolo, sia pure filtrato dall’eccentricità dei protagonisti, e che contribuisce alla costruzione di un immagine live, in diretta. E in questa prospettiva non è soltanto l’opera del grande artista a sopravvivere, ma la sua stessa esistenza, immortalata dall’articolarsi stesso di un racconto teso a cogliere al presente i suoi aspetti quotidiani più sommessi e minuti, ruvidi ed eterodossi e in apparente contrasto con le armonie dell’opera artistica. Solo sviscerando anche questi aspetti accediamo a una comprensione virtualmente integrale dell’artista e sono questi piccoli rivoli, laterali alla strada maestra ma non necessariamente sfocianti in essa, ad accrescere per contrasto il fascino e la levatura della loro personalità e della loro voce poetica. Queste incursioni tra le maglie della vita ordinaria degli artisti, non scalfiscono la compiutezza armonica, la galassia virtuosa e ideale della loro opera, ma la innervano di nuove sfumature e necessità, fornendone più larghe e giustificate motivazioni. L’arte si umanizza e così facendo arricchisce e potenzia il proprio messaggio, il proprio assunto. La fotografia di questi personaggi nella loro immersione nel quotidiano, inoltre, finisce per smentire il luogo comune dell’artista etereo ed appartato, rinchiuso nei confini di un universo idealizzato e incapace di confrontarsi con la realtà.
Naldini, nell’approccio con i suoi personaggi insomma, non entra dall’ingresso principale, quello smagliante dell’opera d’arte e dei successi artistici, ma batte e ricerca con la massima naturalezza i percorsi secondari e appartati, inediti e trascurati per giungere ugualmente al nocciolo di luce delle singole personalità, al cuore dei personaggi. E per far questo non conta dilungarsi più di tanto. Non vi è necessariamente una relazione tra l’importanza del personaggio e l’approfondimento, in termini quantitativi, del suo ritratto. Il profilo di Giacomo Leopardi, ad esempio, copre il breve arco di in una pagina e mezzo e affiora, oltretutto, dalla descrizione del padre senza che questo comporti uno sminuimento della sua figura. Opera in questi ritratti una specie di sineddoche: la parte descrive il tutto, l’elemento marginale e spurio definisce la personalità dell’artista nel suo complesso. Nella sua interessante introduzione al libro, Naldini stesso definisce i suoi profili dei ritratti in miniatura, ma la miniatura, potremmo commentare, è un microcosmo che, in quanto tale, proietta la sua estensione verso profondità non minori né meno suggestive di quelle dischiuse dal macrocosmo. Non ci sono in questo libro priorità o gerarchie e in ogni profilo, anche nei più sintetici, c’è una luce intensa, di confidenza e amicizia che ne fa un frammento aperto, una scaglia pulsante e luminosa che pur nella sua limitatezza, riesce a offrirci un’immagine seducente e completa dell’artista. E questa luce, pulsante di vitalità, salvaguarda al tempo stesso tali profili da quella patina di concluso che ogni cammeo biografico rischia di portare con sé.
Naldini evita dunque una sottolineatura enfatizzata dell’aspetto critico e interpretativo, che pure non accantona, privilegiando un’integrazione fra arte e quotidiano e in questa sintesi risiede gran parte del fascino di quest’opera.
Come Nicola De Cilia ci spiega nella prefazione al libro, questa antologia, anche se costituita da articoli giornalistici scritti da Naldini nell’arco di un lungo periodo, è poi da considerare qualcosa di praticamente inedito, sia per ragioni pratiche - questi articoli sono di difficile reperibilità e non hanno mai raggiunto un vasto pubblico - sia perché i brani che la compongono, oltre che ridistribuiti rispetto alla loro originale collocazione, sono il risultato di un’opera di parziale ridefinizione. Il principale filo conduttore di questa raccolta resta comunque quello dell’amicizia, di una luce di confidenza capace di sondare e sviscerare il versante più intimo e umano, e non ufficiale, di ogni singola personalità artistica. Nella sua introduzione al libro Naldini dedica delle pagine interessanti al sentimento dell’amicizia rifiutando un’idealizzazione di questo valore. In essa confluiscono infatti molte virtù ma anche molti vizi. Per Nico l’amicizia è naturalmente comprensiva di fattori quali il distacco,l’incomprensione e il tradimento.
Dopo queste considerazioni sui tratti di questa raccolta, non dobbiamo pensare che questi siano ritratti minimalistici, né che la scrittura segua un suo corso semplificato. Al contrario Naldini conferma qui tutto il suo talento di grande scrittore nel tenere assieme e nell’armonizzare la rappresentazione dell’elemento realistico con una capacità di trasfigurazione poetica per pervenire poi a una costruzione linguistica perfettamente cesellata, di elegante e robusta fattura. Vi è un’istintiva capacità di accompagnare il dato oggettivo fra le anse magnetiche di una scrittura colta e incantata. Alla naturalezza del reale, dimensione che non scompare fra i sortilegi della sua ricreazione letteraria, ma anzi attraverso di essa trova piena espressione senza depotenziamenti o decolorazioni, si accompagna un altrettanto naturale ispirazione compositiva che si concretizza in forme tornite da grande prosatore d’arte. Un realismo elegante - o un’eleganza realistica - potremmo dire con una formula, contraddistingue la sua scrittura esente dai rischi del calligrafismo da un lato, così come da quelli di un naturalismo meccanicamente descrittivo e povero dall’altro. E Naldini non tradisce queste prerogative anche quando concentra il suo racconto nella sensualità non effimera di alcuni bozzetti cronachistici che in questo libro non sono infrequenti. Questa attitudine scaturisce fondamentalmente dall’esperienza formativa dello scrittore friulano, dalle matrici della sua educazione non solo letteraria: Naldini infatti, dal mondo della campagna friulana dove è vissuto e cresciuto, ha assimilato sia quella sapienza e quel realismo propri della cultura contadina, sia quel senso estetico che un rapporto contemplativo e incantato con la natura determina. Sia pure come traccia per interpretare la personalità di scrittore di Nico Naldini, sono utili le parole che lui stesso dedica, in questo libro, alla figura di un suo grande amico, Giovanni Comisso: “La vita di campagna non agì dunque su di lui soltanto come un angolo di pace e meditazione e neppure soltanto come un luogo simbolico della purezza naturale e dell’energia vitale, ma fu un insieme di estetica e di utilità…”.