Forse bastano cinque parole che cominciano tutte con la lettera erre
per spiegare Trieste.
Rimpianto è la prima. Perché tanti triestini continuano
a pensare con nostalgia ad un passato che pure, di persona, non hanno
mai vissuto: la perduta e favolosa epoca dell’Impero Austro-Ungarico,
quando Trieste era il principale porto della monarchia asburgica. Sono
trascorsi ottantasette anni da quando, nel 1918, finì la prima
guerra mondiale e con essa scomparve quel vasto impero multietnico.
Eppure, a Trieste ne sopravvivono ancora numerosi echi: ecco il monumento
e il mito dell’imperatrice Sissi, la frase ricorrente “ah…
quando ghe iera l’Austria…”, molte indicazioni topografiche
(a partire dal centrale borgo teresiano, dal nome di un’altra
imperatrice, Maria Teresa), un certo ordine e rigore mitteleuropei che
però stridono con certi aspetti profondamente levantini, abitudini
e modi di dire che sopravvivono vivi e vegeti. Nella realtà della
storia l’Austria non era tutta luce e quella che ora sembra risplendere
come un leggendario gioiello era anche un intreccio di ingiustizie e
contraddizioni. Ma opporsi ai ricordi, in gran parte inventati, di quella
mitica ed irripetibile età dell’oro è difficile
come opporsi allo tsunami.
E allora sul terreno del rimpianto, nasce e cresce la seconda parola:
il Rancore. Il ragionamento di partenza è molto semplice e, come
tutti i facili sillogismi, molto difficile da smontare: se una volta
a Trieste si stava così bene e ora non più, di qualcuno
sarà la colpa. L’elenco dei responsabili è sterminato:
per certi la prima colpevole è l’Italia che, subentrata
all’Austria, non si è mai comportata con i propri figli
triestini come una madre amorevole bensì come una ingrata matrigna.
E a nulla vale spiegare a questo qualcuno che non è coerente
tifare prima per Vienna e poi per Roma. Per altri invece il colpevole
è l’Europa, che allargando i propri mercati ha sminuito
il ruolo di Trieste a vantaggio dei porti tedeschi, primo fra tutti
Amburgo. Per altri ancora i colpevoli sono Stati Uniti e Gran Bretagna
che, dopo la seconda guerra mondiale, non fecero di Trieste un Territorio
Libero, una specie di Montecarlo che si sarebbe arricchita in mille
modi. Per qualcuno i responsabili sono le generazioni nuove, che avrebbero
tradito gli ideali del passato. Per altri poi i colpevoli sono gli slavi
(intendendo con questo termine generico sloveni, croati, serbi, montenegrini,
macedoni), che avrebbero sempre alitato il loro fiato predatore sul
collo dei triestini.
Ma come sempre, il rancore contro le presunte colpe degli altri si accompagna
con il suo diabolico gemello: la terza parola, la Rimozione. E così,
i triestini si sforzano di ignorare i torti inflitti agli altri. Molti
triestini di etnia italiana non sanno, o fingono di non sapere, cosa
fece il fascismo in queste terre, quale spietata politica di repressione
attuò contro gli sloveni ed i croati durante il ventennio, quali
orrori l’esercito italiano perpetrò contro i partigiani
e contro i civili al fianco degli alleati tedeschi, durante l’invasione
della Jugoslavia, contro i partigiani e contro i civili. Una parte dei
triestini trascura l’esistenza in città dell’unico
campo di sterminio nazista esistente in Italia, la Risiera di San Sabba.
Ma anche molti triestini di etnia slovena o croata non sanno, o fingono
di non sapere, che soprattutto negli anni tra il 1943 e il 1953 il regime
comunista jugoslavo commise orrendi crimini contro i propri potenziali
oppositori, primi fra tutti gli italiani dell’Istria. In ogni
caso, il vertice massimo della rimozione lo raggiungono gli esponenti
di AN, figli del Movimento Sociale e nipoti del fascismo: riescono a
piangere indignati e commossi sulle foibe senza mai spendere una parola
contro il fascismo e contro il nazismo. Riescono a commemorare lo sterminio
degli ebrei, la Shoah, e contemporaneamente pretendono che chi combatteva
a fianco dei nazisti partecipando di fatto a quel massacro venga onorato.
Ma se rimuovere significa inghiottire e nascondere qualcosa, a volte
questo qualcosa torna su come un boccone acido: ecco allora la quarta
parola, il Rigurgito. E così, a Trieste, si continua da decenni
a usare i morti come se fossero oggetti contundenti da sbattere in faccia
ad un nemico. Molti che hanno imparato solo qualche rozzo slogan pretendono
di fare lezioni di storia vomitando il proprio rancore, molti sembrano
per anni persone equilibrate e sagge ma poi di colpo rigurgitano fuori
il proprio ottuso nazionalismo, molti pensano che comunque ed in ogni
caso la propria etnia vada difesa qualunque atrocità abbia commesso
e gli stessi pensano che comunque ed in ogni caso l’etnia degli
altri vada condannata qualunque torto abbia subito. E più ci
si rende conto di avere imboccato una strada sbagliata, suicida e distruttiva,
più si alza il tono dello scontro; più si capisce di essere
ingenerosi, più ci si tappa l’occhio che potrebbe offrire
una visione ampia ed obiettiva.
E davanti a tutto ciò, davanti a questa volontà di non
capire e di non aprirsi all’altro, in molti cittadini triestini
affiora la tentazione di aggrapparsi al rifugio triste e rinunciatario
della quinta parola: la Rassegnazione. La tentazione di dire: voi che
guardate al passato solo per puntarlo contro gli altri, voi che usate
il passato solo per avvelenarci il futuro, andate all’inferno.
O meglio restateci. Ma non vi venga in mente di chiederci di accompagnarvi.